NO AL RAZZISMO,  GIPSY QUEENS  E  “A OTTIMO INTENDITOR ZERO PAROLE”   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 23]

NO AL RAZZISMO,  GIPSY QUEENS  E  “A OTTIMO INTENDITOR ZERO PAROLE”   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 23]

[IMMAGINE IN EVIDENZA:  FOTOGRAFIA DI  WALTER GALASSO]

*********************************************

DI WALTER GALASSO

Avatar wp_16251317

   Il signor Pantaleo Piumaggio, sceso poco fa da un treno partito da una nota località balneare, decide di ritornare pedibus calcantibus a casa sua. Recentemente s’è concesso qualche pantagruelica scorpacciata di troppo, è ingrassato e adesso, espiando il fio della colpa, ha da erogare tanta salubre energia, gettare ettolitri di sudore e così rimediare al nocumento dell’eccessiva adipe. Lui tiene alla sua silhouette, crede che faccia un figurone se si presenti come un grissino, e non sospetta che, invece, molte persone se vedano un soggetto troppo magro pensano che non abbia sufficienti soldi per mangiare come si deve.
   Pantaleo, mentre guadagna la via d’uscita della stazione, è colpito da una turista, che giace con nonchalance sul pavimento, sbracata, senza vergognarsi di una tale postura. Lui non riuscirebbe mai a fare una cosa del genere. Innanzitutto è ossessionato da istanze di igiene a trecentosessanta gradi. Vagamente ipocondriaco, affetto da varie paturnie, pensa che sedersi sul suolo d’uno scalo altamente trafficato -una caleidoscopica babele- sia un comportamento inclusivo del rischio di toccare un sacco di microbi e germi e porcherie varie. In secondo luogo nella sua ottica una persona che sta come quella squinzia fa una figura di merda, rischiando di apparire sciroccata. Prende atto della siderale differenza psichica fra sé e quella sconosciuta e riflette, in modo disordinatissimo, sul perché e sul percome della grande differenza che può intercorrere fra due esseri umani. Ognuno è fatto a modo proprio, nel mondo vige e regna un relativismo da paura, la congerie di disparati punti di vista è sconcertante: questo pensa l’uomo mentre, lasciandosi alle spalle quell’inglese ricca di disinvoltura in pubblico, si chiede quale possa essere il suo quoziente intellettuale.
   Su una panchina un uomo, male in arnese, ha una cera inquietante. Pantaleo lo osserva con attenzione per qualche secondo, ne spia l’espressione facciale e pensa ‘se tanto mi dà tanto, se il mio intuito non m’inganna, quel moscio bischero è un fallito in uno stato di preoccupante depressione’. Forse quel signore sta soltanto aspettando l’arrivo di un treno, è un po’ annoiato e non versa affatto in una situazione interiore di disagio, però il dottor Piumaggio non ha dubbi: quel tipo sta male dentro, abbisogna dell’aiuto di qualcuno, prima che il suo malessere spirituale degeneri.
   A qualche metro da lui ci sono quattro zingare, ammantate di un look molto folcloristico. Soprattutto la donna più alta  -dà l’idea di essere la leader di quel poker-  ha un abbigliamento vistoso e peregrino, arlecchino a livello cromatico e stravagante nell’incoerenza formale tra le singole parti del tutto. Parlano in modo ridanciano, paiono intente a demolire, in un pissi pissi in salsa di simpatico gossip, la reputazione di qualche persona che esse odiano dal profondo del cuore, forse qualche loro nemico. “Gipsy Queens”, pensa Pantaleo, che le ammira, le vede come regine e le ribattezza così per augurare a ognuna di loro lo stesso successo dei maschi Gipsy Kings.
   Le squadra dalla testa ai piedi un uomo in giacca e cravatta, intento a fumare una sigaretta elettronica a circa quindici metri dalle straniere. Il suo sguardo è eloquente: emana un feroce disprezzo, e se è vero, com’è vero, che gli occhi sono lo specchio dell’anima, questo personaggio nell’imo della sua psiche include un razzismo monstre. Si vede chiaramente che costui imputa a priori a chiunque appartenga all’etnia di quelle donne un’attitudine a delinquere, come se sulla faccia della Terra l’immoralità possa essere in radicale relazione con l’area geografica e politica di chi indulga a una determinata colpa.
   Pantaleo, intuendo che quel tizio, con la puzza sotto il naso, dietro la sua pacchiana e ostentata apparenza nasconde una mentalità xenofoba e sciovinista, lo stigmatizza con fermezza. Lui, bene inteso, non è un trinariciuto comunista, un rosso sanculotto, anzi da una decina d’anni nelle cabine elettorali dà i suoi voti a candidati di un partito moderato, diciamo doroteo, però questo non gl’impedisce di capire che è ignobile una preconcetta e laida animadversione verso qualche popolo nella sua interezza. È lapalissiano che in ogni Nazione ci possano essere persone ammodo e bandoleri, galantuomini in odore di santità e tizzoni dell’inferno: mai generalizzare, fare di tutte le erbe un fascio. Il dottor Piumaggio vitupera, in cuor suo, il razzismo di quel pistola, un pallone gonfiato che s’impanca a mandrake ed è solo un loffio cretinetti, uno yuppie che molto probabilmente adora il capo di un partito reazionario.
   Un atteggiamento che gli fa onore anche perché due anni fa egli ha subito, in un vagone della Metropolitana, un furto proprio ad opera di due trentenni rom, già note alle forze dell’ordine. Nonostante questa disavventura, che a suo tempo lo amareggiò moltissimo -nel reato perse molti suoi importanti documenti-, non gli è mai passata per l’anticamera del cervello la tentazione di sparare fregnacce come “tutte le zingare rubano”. Quelle due, in quella circostanza, si comportarono male, ma magari, perché no, una loro connazionale l’anno prossimo vincerà il Premio Nobel per la Pace. Questo pensa Pantaleo e tutti, insigni arche di scienza come umili proletari del popolo, dovrebbero essere d’accordo, in un totale, incondizionato idem sentire, senza caveat.
   Arriva un tipaccio con una faccia da galera. Come minimo in qualche tasca del suo look occulta un coltello. Il signor Piumaggio, pur preoccupato per la presenza di questo delinquente, resta concentrato sulle simpatiche donne gipsy. Per una frazione di secondo ipotizza di avvicinarsi a quelle sconosciute e, con una scusa qualunque, attaccare bottone per poi esternare a ciascuna di loro la propria simpatia. Sarebbe indubbiamente un beau geste, nobilmente dettato dalla sua signorile voglia di stare dalla parte di soggetti tradizionalmente calunniati da imbecilli terra terra.
   Già la sola idea di omaggiare con amicale rispetto quelle signorine e signore gli fa onore. Merita un encomio solenne, il leviatano del Bel Paese funzionerà molto meglio se si diffonderanno gentlemen come lui. Egli non è un titano di teoresi e di virtù, però nel suo piccolo rappresenta un modello da imitare.
   Il suo squisito proposito, purtroppo, abortisce, perché gli si avvicinano due agenti della Polfer e gli chiedono di esibire un documento di riconoscimento. Il cittadino, dissimulando a stento la sua irritazione, mentre estrae la sua CIE  getta uno sguardo verso il delinquente. La sibillina audacia della sua ‘polemica oculare’ include una rivoluzione che supera un noto proverbio, “a buon intenditor poche parole”. Il senso dell’occhiata va ben oltre quello di “intelligenti pauca”. Albeggia uno sviluppo che è una via di mezzo fra paralipomeni e sequel: “a ottimo intenditor zero parole”…

Walter Galasso