![UNA DAMA PRENDE UN GRANCHIO, QUELLO NELLO STEMMA DI BOTRUGNO [Bozzetto 36] UNA DAMA PRENDE UN GRANCHIO, QUELLO NELLO STEMMA DI BOTRUGNO [Bozzetto 36]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/05/Botrugno-Stemma_copy_840x1140_copy_1587x2153.png)
[IMMAGINE IN EVIDENZA: STEMMA DEL COMUNE DI BOTRUGNO (LECCE)]
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DI WALTER GALASSO

Un assembramento di persone, tutte chic, in mezzo a una rinomata piazza dell’Urbe. Un eterogeneo insieme, tante le palesi differenze tra le sue singole componenti, che però, nonostante questa distinzione, hanno un denominatore comune: sono agghindate in chicchere e piattini e sprizzano una sociale eccitazione da tutti i pori. Danno l’idea, quelle donne e quei maschi, di essere in procinto di partecipare a un Evento. Forse un mondano party dell’alta società, forse un ricevimento, glamour e trendy, nella solenne Ambasciata davanti a cui sono, a non molta distanza. Oppure, a un livello meno alto d’importanza, qualche pezzo grosso del leviatano, residente in una sibaritica abitazione ubicata da queste parti, per festeggiare un suo genetliaco ha invitato un sacco di persone, fra cui loro, e a breve questo riccastro sardanapalo offrirà, come un munifico anfitrione, un fastoso banchetto pantagruelico, e questa comitiva d’invitati non vede l’ora di assaporarne il menu da favola.
Ipotesi, una girandola d’illazioni in libertà, partorite dalla ferace immaginazione di un signore che, viaggiando a piedi da un quartiere a un altro della Città Eterna, ha notato quel gruppo e, iniziando a spiarlo come un umarell possa osservare men at work in un cantiere, ha iniziato ad almanaccare sul perché e sul percome quei soggetti, elegantissimi e su di giri, stiano lì.
Chiacchierano, nella loro équipe c’è anche un primus inter pares, un mattatore al centro della scena. In un suggestivo contrasto, uno dei tanti nel tessuto sociale di una metropoli così abbondante e complessa, appare un involontario contraltare alla loro finezza la rozzezza di un guaglione, Alvaro, cameriere in un ristorante tanto raffinato quanto carestoso. Ne esce all’improvviso, come un razzo senza motore, come un felino senza artigli, portando seco un secchio pieno di acqua sporca. Gli è servita per fare pulizie nel locale. Il giovanotto ha lavorato sodo, s’è stancato in una vera e propria corvée, forse avvertendo nel proletario petto un inconsulto moto d’incazzata frustrazione, e adesso, dopo aver accumulato stress psicofisico, desidera, magari inconsciamente, cazzeggiare ed eruttare puttanate per sfogarsi e smaltirlo. E allora “Champagne per tutti!”, grida ed esclama, come un esilarante coglione, mentre svuota violentemente quel recipiente, buttandone il contenuto sulla nobile superficie della square.
Dopo la ‘performance’ -ha alzato così tanto la voce che forse l’hanno sentito pure in un edificio in outskirts, a trenta chilometri da qui- si sbellica dalle risate. Crede di aver fatto una battuta strepitosa, di essere apparso un maestro di vis comica, e non si rende conto che nessuno, salvo lui, sta producendo nell’ambiente uno smile dedicato alla sua gag.
Davanti al Palazzo che ospita la suddetta Istituzione diplomatica, un beautiful immobile, di inestimabile valore -include pure molti capolavori di storia dell’arte- lavorano, come suoi zelanti difensori, diverse unità di forze dell’ordine. Fanno la guardia h24, ovviamente avvicendandosi in un turnover, e, ottemperando a ordini piovuti dall’alto, effettuano rigorosi e severi controlli, duri con tutti, senza guardare in faccia a nessuno. Forse nemmeno il sindaco, se, puta caso, volesse andare a far visita a Sua Eccellenza l’Ambasciatore, potrebbe entrare in quel sancta sanctorum della diplomazia senza essere preliminarmente perquisito.
Oggi nel pool di ‘angeli custodi’ (delle feluche di stanza in quello storico building) v’è un tipo alquanto strano, Giovanni Racco. Un militare che, armato pure d’una gagliarda barba bicolore -peli che sembrano voler incutere timore ai malintenzionati-, ha un atteggiamento decisamente fuori luogo. Pare un bullo della mala più che un patriottico soldato dell’Esercito. Si atteggia a Rambo, ha una cera cattiva, sembra che da un momento all’altro possa mordere qualcuno. E poi è cafone. Si mette un dito, l’indice della mano destra, nel piccolo tunnel d’una narice, per estrarne un po’ di cacca. Puah!, che schifo!
Una snob dama, dianzi uscita dalla sua residenza -una reggia quotata più di cinque milioni di euro-, se ne accorge, poco dopo aver visto e sentito il cameriere e aver pensato “povera Patria”. Sul suo viso, sotto un cervello già nauseato da “Champagne per tutti!”, albeggia un’espressione che può essere interpretata come una sofisticata icona di sommo disprezzo. Costei, la dottoressa e contessa Amalia Capitone Della Marmolada, aristocratica con sangue blu di Prussia, stigmatizza quel bifolco più di un bovino in una stalla.
La donna, una sciura con la puzza sotto il naso, non ha mai fatto l’amore con il concetto di democrazia, al netto di frasi dette, con patologica ipocrisia, in interventi pubblici. Nella sua elitaria mentalità la strombazzata uguaglianza, Valore adorato da moltitudini d’invasati comunisti, è una fregnaccia monstre, un errore sesquipedale e una colpa infernale. Ma quale Valore d’Egitto! Secondo lei quella idea, rampollata dalla bacata mente di filosofi che fanno acqua da tutte le parti nei loro deliranti ragionamenti, è una lue dello Stato. Assurdo pensare che il puzzolente e disadattato paria, il barbone che dorme sotto i ponti e si lava una volta all’anno, e mai contribuisce alla prosperità della Nazione, sia pari a suo marito, il commendator Giulio Elviso Nottilemi -pure ‘sto mandarino del generone ha sangue non rosso nelle vene-, un Ingegnere meravigliosamente perbene. Un capolavoro di bon ton, l’ipostasi del gentleman a trecentosessanta gradi, mai un gesto che non meriti in pagella dieci e due lodi. Quel presunto servitore dello Stato, invece, un animale in tuta mimetica, disonora l’umanità, non è degno d’esserne reputato una parte. Lady Amalia non lo sopporta, lo spedirebbe volentieri, se fosse materialmente possibile, su Marte, a bordo di una navicella spaziale, in un viaggio di sola andata. Meno male che il ferino, belluino, degradato australopiteco entra in una jeep, con i vetri un po’ scuri, così gli occhi della nobildonna non lo hanno più davanti e la sua muliebre psiche può tirare un sospiro di sollievo.
La signora si dirige lemme lemme, su shoes con tacchi (a spillo) alti quasi come trampoli, verso un tempio della movida. Un locale pubblico reputato un ritrovo di divi del jet-set. Il suddetto gruppo di vip si è sistemato nel suo dehors, e lei, cara amica del suo leader di fatto, il cavalier Emilio Roccafelice, un boss con la erre moscia, ne è invitata a intrupparsi. Ella accetta senza esitazioni. Ah, che meraviglia stare con e fra tipi di alto bordo! Il titolare, Gino Gioleto, la pensa come lei. Se entra un cliente qualunque a malapena risponde al suo saluto, mentre con Emilio è così servile che finanche il beneficiario dei suoi acquiescenti salamelecchi prova un pizzico di paradossale disagio. Amalia Capitone Della Marmolada è in brodo di giuggiole in questo spicchio di haute society. Schifando Al e Giò e idolatrando Mister Roccafelice crede di essere nel giusto, e si sbaglia. Il cavaliere, spregiudicato maneggione, ha ferito le leggi del suo Paese già un’ottantina di volte -non è mai finito in galera, ma è uguale, fa schifo parimenti-, mentre il cameriere e il soldato sono persone oneste. La nobildonna dunque prende un granchio, ma poco male. Lei farebbe carte false per possedere il palazzo marchesale dei Castriota Scanderbeg, gioiello della nobile famiglia Maramonte, in quel di Botrugno. Proprio ieri l’altro, giocando a bridge con tre contesse, ha confessato a una di loro, dopo averne ricevuto complimenti per la sua casa, che l’immobile è sì affascinante, ma quel palazzo di più. E nello stemma del Comune di Botrugno c’è proprio un granchio…
Walter Galasso