![UNA PANTERA ACQUA E SAPONE [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 36] UNA PANTERA ACQUA E SAPONE [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 36]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/09/Lumii_20250914_213207749.png)
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DI WALTER GALASSO

Alessandro è sospinto, nell’andamento attuale della sua normale prassi, da un senso di veemente urgenza. Una fretta forse dannata, forse santa, dipende dai punti di vista. Gli brucia il terreno sotto ambedue i piedi, e lui non è mai stato, né mai sarà un fachiro. La calma è una pacchia interiore -anteriore alla serenità- che il suo animo non può, non sa, non vuole permettersi.
Ansia? No. Non esageriamo, questo ex adolescente, non ancora maturo matusa, via di mezzo tra il fior fiore della giovinezza e le appuntite spine d’un malloppo di nostalgia, avverte questa inquietudine dentro, al di qua della sua fenomenologica facciata. Oltre, nella sua immagine per gli altri, è solo un attore sociale in mezzo alla complessità della metropoli.
Sale a bordo di un autobus, pilotato da una conducente che mentre guida sogna un po’, e ogni tanto ripensa al suo debutto in questo mestiere: un disastro. Questa Elisabetta dai biondi capelli era imbranata, impacciata, aveva paura del compito e, soprattutto, non conosceva bene il tragitto. Dovette lanciare un SOS a un passeggero, il quale, galvanizzato da questo quarto d’ora d’indiretta celebrità, le si avvicinò e, tranquillizzandola, le indicò la retta via.
Sono passati anni luce da quel dì, adesso ella è brava, però allora, schiappa come autista, era felicemente fidanzata con un boyfriend che il suo cuore percepiva come un principe azzurro e blu; dopo se lo è sposato ma il principe, trasformandosi in drago, prima l’ha maltrattata e dopo l’ha scaricata, per mettersi con una con diciotto anni di meno della moglie, la quale adesso, separata e con due figli, conduce benissimo il bus ma, le pene d’amore angustiandola con invisibile ferocia, ha nello sguardo qualcosa che non va.
Un’ombra che Alex, sedutosi davanti, in primissima fila, percepisce dopo un paio di minuti, quando lei, il veicolo fermo davanti a un semaforo rossissimo, si gira per rispondere a un turista e donargli la info che le ha chiesto. Lui intuisce in lei un tarlo, che circonda la sua anima come un tarallo imprigioni una formica che si muova nel suo buco. Dentro la sua testa nasce una curiosità che però, a causa di qualche freno profondissimo, non ha il coraggio di scatenarsi nell’ardore della perseveranza. E allora viene risucchiata da un crepuscolo dozzinale, un tramonto appiccicato alla precedente alba. Signore e signori, ecco a voi il dramma di possibilità esistenziali abortite sul nascere.
Eppure nell’uomo si accende, e lampeggia con razionalissima imprecisione, un flashback legato a tanti anni fa, quando, lui in una tournée del suo cazzeggio, in un Comune non lontano da Roma, salì su un mezzo pubblico, attaccò bottone con una collega della signora Elisabetta e ne derivò l’inizio d’una conoscenza avvincente, un rapporto così particolare che per certi versi ha superato, nella sua verissima concretezza, molte prodezze d’una falsissima fantasia. In teoria, sulla scia di quella esperienza -che non è culminata in un’autentica storia d’amore ma, comunque, gli ha donato molta soddisfazione sentimentale-, qui ed ora dovrebbe fare il bis con questa gagliarda e turbata pilota, magari cercando di incunearsi nel suo larvato disagio per poi candidarsi al ruolo di maschio salvatore in grado di consolarla. Invece, quantunque ella gli appaia pure carina -non una venere ma comunque interessante-, l’utente non ci prova, preferisce restare nel suo guscio.
Una scomodissima comfort zone, dove le busca psicologicamente dalla sua frustrata voglia di res gestae, e ciò nondimeno gli va di permanere in essa, senza nessun tentativo di evasione. Non è da escludere che sia affetto dal cosiddetto masochismo, dunque che gli piaccia sentirsi a disagio, oppure, più semplicemente, l’inerzia lo incolla alla persistenza dei suoi pensieri molesti.
Si sente in ritardo, gli brucia non aver realizzato, almeno fino a questo momento, la maggior parte dei sogni di gloria in auge quand’era un ragazzino. Il Tempo ha asfaltato, come un maxi rullo compressore, tante sue chances, il principio di realtà ha crocifisso l’agilità della sua facoltà di sognare. Dagli oggi e dagli domani, aggiogato dalla sterilità d’uno sfigato tran tran, una routine paragonabile al meccanico e non creativo dinamismo di un treno regionale, questo personaggio è retrocesso nel girone dei perdenti, e questa débâcle, che lui attribuisce alla lentezza -in senso lato- della sua psiche, proprio non gli scende giù. Chi si accontenta gode, ma stavolta…
Una parte di lui fa una promessa alla restante percentuale della sua soggettività: è giunta l’ora di suonare la diana. Urge andare ai materassi e sfidare a duello la solita solfa, la mediocrità delle sue giornate senza nemmeno un do di petto. Rivoluzione!
Alessandro è un uomo di buona volontà, desidera ardentemente non essere più un quidam né uti né puti, e il suo caparbio cuore è disposto, nell’energia morale legata ai suoi battiti, a fare gli straordinari, nondimeno la sorella mente non sa da dove iniziare in questo conto alla rovescia verso l’Ora X di una nuova era della sua esistenza.
Emigrare? Non se ne parla proprio, lui lontano dalle radici è come una balena che si senta nella vasca da bagno di un appartamento. Se domani partisse per lo Stato “Altrove”, su un bolide dell’Altissima Velocità, dopo pochi chilometri azionerebbe un freno d’emergenza, per un attacco di panico claustrofobico.
L’idea di cambiare mestiere, Ipotesi 2, è, nella sua ottica, una cazzata tafazziana e improponibile: di questi tempi buttare alle ortiche un discreto gagne-pain è un esempio da inserire nella Treccani, nella spiegazione del lemma “assurdità”.
Mentre il suo cervello sta per fare un terzo esempio di cosa “non fare” in questa brama di cambiamento -una voglia limitata da uno stranissimo guinzaglio- le sue orecchie odono “ridalle il portafogli, ti ho visto”. Una ragazza, semplicissima e/ma con gli occhi di pantera, sta imputando un furto a un ambiguo uomo, che “ma che vuoi, io non ho fatto niente, controlla pure”. La signorina, Lea, chiede a Elisabetta di non aprire le porte -il torpedone sta per arrestarsi a una fermata- e, intuendo tutto, se la prende con un altro uomo, nei paraggi del primo imputato. “Ce l’hai tu, vero, mascalzone! Sei un complice. Molla il portafogli, e non cascare dal pero”. Alessandro assiste, allibito e ammirato, alla scena. “Allibito” in lui scompare -e raddoppia “ammirato”- una cinquantina di secondi dopo, quando, mentre un signore sulla sessantina, spettatore, esclama “l’hanno restituito”, sotto a un sedile compare, come per magia, un portafogli. Lea si china, lo prende, si avvicina alla proprietaria, una dolce e inerme signora con i capelli bianchi, e glielo dà, e la beneficiaria del beau geste la ringrazia con un sorriso che illumina l’autobus.
La ragazza, mentre Elisabetta apre una porta e i due marioli scappano come lepri, ritorna al suo posto, come se nulla fosse. Eroica, e magnanima nel non farlo pesare alla società. Grande, anzi grandissima, anche se non è una vip, anche se il suo peso nello Stato è identico a quello di Alessandro.
Il giovane, all’improvviso sereno, adesso, in una consapevolezza in bilico fra inconscio e coscienza, sa che cosa ha da fare per sentirsi realizzato: somigliare, almeno un po’, a Lea, una pantera acqua e sapone.
Walter Galasso
“Dentro la sua testa nasce una curiosità che però, a causa di qualche freno profondissimo, non ha il coraggio di scatenarsi nell’ardore della perseveranza. E allora viene risucchiata da un crepuscolo dozzinale, un tramonto appiccicato alla precedente alba. Signore e signori, ecco a voi il dramma di possibilità esistenziali abortite sul nascere”… poche righe tratte da questo raccconto che fanno capire quanto profondo sia lo sguardo di Walter Galasso nella nostra mente, come sia capace di scardinare ogni meccanismo e metterlo a nudo e poi dargli voce come nessuno saprebbe mai! NON PERDETEVI IL RACCONTO!