![GLI OCCHI DI ŚAKUNTALĀ NELL’ ARTE DI AARTI SAIKIA / POETRY IN MOTION [PARTE 1 DI “ŚAKUNTALĀ’S EYES IN THE ART OF AARTI SAIKIA”, DI WALTER GALASSO] GLI OCCHI DI ŚAKUNTALĀ NELL’ ARTE DI AARTI SAIKIA / POETRY IN MOTION [PARTE 1 DI “ŚAKUNTALĀ’S EYES IN THE ART OF AARTI SAIKIA”, DI WALTER GALASSO]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/09/1757058090766_dl1ih7_2_0-scaled.jpg)
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IMMAGINE IN EVIDENZA: “SHAKUNTALA PATRA-LECKAN”, DI RAJA RAVI VARMA
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DI WALTER GALASSO

“Show, don’t tell”, un dettame che è una specie di mantra in alcune aree della tecnica narrativa. Voglio attenermi a questa regola per lumeggiare il mio rapporto con l’India. Quando questo splendido Paese è entrato nel bacino di utenza di “romacampodeifiori.academy” ho scritto, in un “AVVISO” pubblicato il 18 Novembre 2024: “CON GRANDE EMOZIONE SALUTO LE PRIME VISUALIZZAZIONI DALL’INDIA… LE PRIME NAVIGAZIONI SU QUESTO SITO NELLA GRANDE NAZIONE POTENZIANO ULTERIORMENTE IL SUO DIALOGO CON DIMENSIONI PERMEATE NOBILMENTE DI VALORE, LONTANE NELLO SPAZIO E VICINISSIME NELLA MERAVIGLIOSA GALASSIA DELLA CULTURA…”.
Stato geograficamente immenso, bellissimo a livello naturalistico, melting pot per antonomasia, con una grande varietà di lingue, culla di molte e importanti religioni, Nazione ricca di antica e raffinata Cultura, la Repubblica dell’India ha tanti e tali pregi che un loro esaustivo elenco non può essere sintetizzato in un breve spazio.
In questa sede mi limito a un esempio letterario: “Il riconoscimento di Śakuntalā (Abhijñānaśākuntala)” -cito dall’Edizione Adelphi-, capolavoro di Kālidāsa, opera che ammiro da sempre. Non dimenticherò l’emozione che ho provato quando ho letto l’apologetica lode tributata a questo eterno testo da un Grande d’ogni tempo, Goethe: “Ciò che affascina e incanta, ciò che appaga, fa estasiare e alimenta l’anima, ciò che armonizza la terra e il cielo”. Nell’ammirare l’India penso anche a questa sua eroina leggendaria, alla storia d’amore di questa ragazza con il re Dushyanta, una relazione albeggiata quasi per serendipità, con un’evoluzione prima ostacolata e poi coronata da un romantico lieto fine. Un elevato esempio di arte drammatica.
Un importante pittore indiano, Raja Ravi Varma, ha dato alla luce uno splendido quadro, “Shakuntala Patra-lekhan”, un dipinto in cui la protagonista, intenta a scrivere un’epistola al suo ‘Prince Charming’ -principe che qui è un re-, poeticamente sdraiata su un tappeto di prato, in una cornice naturalistica di palese valenza ambientalista, ha uno sguardo assorto e verso l’alto, mentre si lambicca il cervello per partorire una buona letteratura. Questo indiretto rapporto fra due eccelsi figli dell’India, Kālidāsa e Raja Ravi Varma, un paradigmatico esempio di sincretistico connubio fra letteratura e pittura, mi ha regalato un emblema da ammirare a trecentosessanta gradi.
Lo sguardo della ‘scrittrice’ Śakuntalā è un simbolo di poiesi, di concentrazione mentale in un atto creativo, di squisita sensibilità spirituale in un elegante lavoro dell’intelletto. Quegli occhi sono anche un doppio logo dell’India, della sua spiritualità culturale, del valore, sia etico che teoretico, che ne permea il corrusco milieu. Nel quadro Śakuntalā è soprattutto un’innamorata, ma il suo dolce sforzo, l’attività della sua muliebre penna, il suo sguardo verso un Altrove Alto, sono anche, last but not least, un élan -imparentato con un lodevole perfezionismo- in direzione di una Meta artistica. Lei non si limita a redigere un messaggio semplice e semplicistico: getta il cuore oltre l’ostacolo, alza l’asticella, anelando a volare alto nel firmamento della Letteratura, anche se in quel momento ne è solo un’autrice amatoriale. In quelle pupille vi è uno slancio quasi metafisico, esse ospitando, insieme al suo amore per la sua metà, un virtuoso misticismo dei suoi sentimenti.
Come estimatore dell’opera avverto l’esigenza di universalizzare quella scena. Al netto della necessità di ricordarsi sempre che raffigura una donna innamorata, nell’atto di comporre una lettera per il suo fidanzato, io peroro l’esigenza, a livello ermeneutico, di sussumerla in un più ampio ambito semantico, presentandola come un’icona di anelito a risultati letterari e artistici.
Ho voluto mettere un accento su questa opera anche per un motivo legato allo sviluppo del suddetto legame fra me, come editore del mio sito, e la stessa India. Le visualizzazioni sul suo vastissimo territorio, dopo le prime navigazioni, sono gradatamente aumentate, e a un certo punto, in un grande salto in avanti di questo rapporto culturale, ho conosciuto una talentuosa, straordinaria figlia di questa importante Nazione.
Le si attaglia benissimo la locuzione latina “nomen omen”, perché si chiama Aarti, Aarti Saikia, e la sua brillante personalità è profondamente permeata di arte. Ho pubblicato diversi suoi articoli, ho esaminato con entusiasmo tante sue opere, di vario genere, e tanti documenti inerenti alla sua straordinaria carriera, ho avuto e ho con lei una culturale corrispondenza epistolare e in tutte queste esperienze ho avuto modo di ammirare un chiaro valore, sia artistico che etico, un encomiabile anelito a raggiungere mete culturali viepiù alte. L’atteggiamento di Śakuntalā nel quadro di Raja Ravi Varma, quella sua voglia, seria e magistrale, di dare il meglio di sé nel perseguire un importante obiettivo alberga anche, mutatis mutandis, nella Weltanschauung e nel caleidoscopico lavoro di Aarti.
Grande professionista, tanto dotata di un ottimo ‘know-how’ di artista quanto animata, nei suoi poetici sentimenti, da un pregevole spirito etico.
A livello professionale Aarti è talmente poliedrica, ha un curriculum così ricco ed eclettico, che non si può indicare, nella vasta gamma delle sue rilevanti competenze, una ‘pièce de résistance’ in modo particolare.
Parimenti sorprendente è un’altra sua caratteristica hors ligne: in molte branche in cui lei si distingue ci è dato di percepire, a parte e oltre la sua palese bravura tecnica, un suggestivo non so che, un je-ne-sais-quoi che aggiunge uno speciale valore, anche innovativo, alla rilevanza dei suoi meriti. È una campionessa all’avanguardia, rispetta la tradizione e al tempo stesso si adopera strenuamente per donarle, in una coupure garbata, dei visibili passi in avanti, all’insegna di un progresso sempre in fieri.
In questo articolo, e nell’ambito della presente sottolineatura, voglio citare innanzitutto la sua identità di danzatrice e coreografa, inclusiva anche di un impegno bellamente didattico.
Il ballo in India rimonta a una delle forme universalmente archetipe della danza mondiale. La tradizione indiana è albeggiata, nei suoi gloriosi albori, in un lontano passato. Una diacronica successione di scuole, di volta in volta up-to-date, sotto la sacra e culturale egida di Shiva Natarāja, Re e patrono dei danzatori, monumentale guida d’una moltitudine di seguaci. Aarti, nella sua brillante identità di “Performance Artist”, si allinea con questa prestigiosa civiltà, incarnandone lo spirito innanzitutto nella sua metodologica serietà formale.
Una caratteristica a priori della danza indiana, infatti, è lo scientifico ripudio d’ogni forma d’improvvisazione -come si nota in un saggio dell’Università Ca’ Foscari, in quel di Venezia-. Essa implica, come conditio sine qua non d’ogni possibile rigore, una lodevole istanza di scrupoloso rispetto d’una ‘grammatica’ ben precisa.
L’artista Saikia prende l’abbrivo, nella sua professione di ballerina e coreografa, e si evolve viepiù, nel corso di un miglioramento esponenziale, sulla base di una diligente voglia di scientifica bravura. È permeata di un rigoroso anelito ad acquisire, con lavoro indefesso e appassionato, una tecnica impeccabile. Qui non ha cittadinanza l’idea, in auge in molte branche dello spettacolo in altre zone del mondo, che sia positiva un’improvvisazione ex abrupto nel corso di un’opera. L’artista e docente, impegnata in uno studio e in un magistero diuturni e a oltranza, impara da… e insegna a…, in un asintotico superamento di sé, senza mai pensare di aver già raggiunto la perfezione.
Della danza indiana, e della sua antichissima tradizione, sposa altresì una caratteristica nota anche ai non addetti ai lavori: la spiritualità filosofica del movimento e la sua finalizzazione a una comunicazione di profondi significati. Nella coreutica di questa elevata civiltà la danza è, contestualmente al dinamico svolgimento della sua indole tecnica, un linguaggio. L’UII, l’Unione Induista Italiana, Sanatana Dharma Samgha, tiene a mettere un accento sull’alterità, strutturale e tendenziale, fra la danza indiana e la dicotomia occidentale fra teatro e ballo. In India chi balla, in una concentrazione spirituale, contemporaneamente emana ed estrinseca messaggi, emozioni, idee, stati d’animo, e ogni possibile contenuto di coscienza.
Ho analizzato molte performances di Aarti Saikia, pubblicando diversi video, e sempre la mia attenzione è stata calamitata dal larvato linguaggio insito nei suoi armonici gesti. In ogni suo show v’è un sostrato tecnico, meramente dinamico, facente parte della dimensione “nritta”, termine tecnico, atto a indicare, appunto, la danza pura nel suo grado zero, i numeri spettacolari nella quintessenza della loro plateale bravura. Su questo fondamento si innestano le performances di “nritya”, cioè la comunicazione di sensi e significati, mediante le “mudra”, esperti movimenti delle mani, l'”Abhinaya”, la sofisticata arte dell’espressione facciale, e, nell’implicita eloquenza del corpo, ogni gesto atto a esprimere un contenuto psichico.
Aarti Saikia, esperta in questo idioma del ballo, non si limita, nei suoi emozionanti ed emozionati numeri, a metterne in pratica il primigenio magistero: va oltre e si distingue, perché crea un’innovazione ch’ella battezza “Poetry in Motion”. Un nuovo orizzonte, inerente alla tradizione e/ma nel contempo munito d’una valenza per così dire palingenetica. La sua danza, a tenore del paradigma a cui si ispira tutta la tradizione di cui fa parte, veicola messaggi, ma in un modo sui generis. Essi sono, più che ponti narrativi verso qualche preciso destinatario, espressioni assolute di un’interiore ricchezza poetica. Un destinatario in teoria c’è, ma è tutto l’Universo, nel senso che lei, mentre s’immerge nelle sue prodezze coreutiche, ama entrare in spirituale osmosi con l’Essere inteso nella sua totalità ontologica. Una differenza che può sembrare marginale ed è, invece, una spettacolare rivoluzione.
Walter Galasso