STANDING OVATION A UN AUTISTA SENZA L’ HOBBY DI SCIOPERARE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 32]

STANDING OVATION A UN AUTISTA SENZA L’ HOBBY DI SCIOPERARE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 32]

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DI WALTER GALASSO

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   Pioggia di gialli raggi, Sole su, amenità quaggiù, ma un incazzato traffico sbraita con decibel imbecilli. Cervelli nervosi sprizzano stress, proveniente dall’Es di animi particolarmente imperfetti. Nell’intreccio di fenomenologie eterogenee si disgrega l’armonia e nasce l’irregolarità di contatti caotici, però nemmeno se ne accorgono abulici utenti in attesa di un mezzo pubblico.
   Passeggeri imprigionati nell’invisibile alienazione della routine, morbosamente attirati da una meta che gli interessa ossessivamente, impedendogli di accorgersi della varia ricchezza circostante.
   Arriva il veicolo, frena, cigola, decelera, si ferma, si aprono le metaforiche frontiere insite nelle sue porte, e tutti, compreso Luca Alamaro, entrano nel suo pubblico spazio, alcuni cercando con lesta avidità un posto a sedere.
   In fondo, sdraiata su due sedili, dove si è spaparanzata per un trionfo della sua libertà poco fertile, ronfa (e per qualcuno puzza) una signora senza una fissa dimora. In realtà pure lei ha una casa: questo tram. Nove volte su dieci i controllori non la cacciano: dietro il loro tesserino batte un cuore. Intorno a lei, eccezionalmente, v’è un microdeserto, mentre il resto del mezzo pullula di esseri umani, con una densità tale da poter ispirare un neorealistico dipinto di un pittore pazientissimo.
   “Alda non è dei nostri, lei, cosa vuoi, lavora in un Ministero”, dice una bionda, parlando e sparlando di sua cognata, una borghese castana, a una bruna che, siccome rosica, liquida la info con un borbottio gutturale -Alda direbbe “borborigmo”-  seguito da un polemico “ah, allora!”.
   Il tram, a cui fortunatamente non si è attaccato nessun perdente della città, prosegue ora lento ora a singhiozzo, non eccelle in celerità, per dirla con un grazioso eufemismo, eppure serba, nitida e cristallina, la sua tradizionale dignità. Lavora e non pretende, spesso viene reputato non bello eppure è più glamour di uno shuttle troppo pieno di sé.
   Lo pilota un romano che quando vuole è simpaticissimo, quando non vuole è comunque simpatico: Cesare Buitina. Tu lo vedi quando è all’opera e pensi, egli taciturno dall’alfa all’omega del suo Io, “costui è muto”. No, semplicemente è innamorato del suo lavoro, e quando attende alle sue mansioni ce la mette tutta per non sbagliare, per sbaragliare l’onore dei competitors, per sentire addosso l’apprezzamento di Roma. La sua deontologia e la sua tecnica bravura di conducente sono venute ancor di più a galla finché ha guidato autobus. Anche sui tram, su cui lavora da qualche anno, è stimato e rispettato da tutti i suoi colleghi.
   Lui, davanti, attende al suo dovere, e dentro il ‘suo’ 19  la gente lancia, con la mente, pensieri nel mondo; spera, con il cuore, che il futuro sia migliore del presente; ipotizza qualche radicale cambiamento, e poi molti se ne pentono, perché partono dal presupposto che si sa quello che si lascia ma non ciò che si trova dopo una rivoluzione troppo audace.
   Luca, come al solito incuriosito dall’umanità che lo attornia, spia negli animi altrui, decritta espressioni facciali, cerca, nella misura del possibile, di pescare segrete verità personali con la fiocina dell’intuito e il coppo dell’empatia. A che pro? Non c’è un utilitaristico motivo dietro questo studio di straforo: la sua intelligenza è curiosa, punto e basta.
   Mentre fissa un giovane serioso ed elegantissimo, impeccabile nella sua mise leccata, pianificata con acribia in una scientificità degna di miglior causa, il mezzo si arresta a una fermata e sembra risucchiare un’équipe di strani religiosi. Ovviamente salgono a bordo sulle ali del loro liberissimo arbitrio, però il dottor Alamaro, scherzando ma non troppo, pensa che sia questo veicolo a calamitarli e assimilarli.
   Questa spirituale comitiva non passa inosservata. Sono tutti vestiti in modo identico, un look alquanto strano, imparentato con l’aspetto che possano avere gli enigmatici membri di una massoneria che creda di essere depositaria di grandi verità, mentre sottotraccia tenti di sabotare il normale e corretto andamento dello Stato. Si beano di attirare l’attenzione di un buon numero di spettatori, si vede da mezzo chilometro che se fossero ignorati come la clochard -che in questo momento russa e forse sogna-, o anche come Luca, piuttosto snobbato da chi lo circonda, ne farebbero un dramma e scivolerebbero in una grave crisi psicologica.
   Probabilmente la loro attuale e positiva tonalità emotiva è dovuta anche al fatto di indossare una divisa, una specie di uniforme. Essi, grazie a questa somiglianza con una squadra di calcio, si piccano di rappresentare una Categoria importante -non è dato di sapere con precisione di quale Associazione facciano parte-. Anche una signorina seduta vicino a un finestrino, dietro un turista alto centonovantadue centimetri e con scarpe -Nike- sgargianti e variopinte più di Arlecchino, ha questa caratteristica: indossa una maglia rossa con il logo della Conad, qual dipendente della nota catena, e pare soddisfatta di appartenere a qualcosa d’aziendale. Pure lei, forse in quanto affetta sotto sotto da insecuritas, è galvanizzata dal sentirsi parte integrante di una grande famiglia lavorativa. Quegli uomini, però, sono molto più gasati della cassiera, perché la famiglia categoriale a cui appartengono è un Movimento d’ispirazione religiosa, ergo si sentono dei vip del leviatano. Somigliano a un boy scout che guardi dall’alto in basso un teddy boy peccatore -c’è boy e boy…-,  pensando “io conosco un cardinale e tu no, tiè!”.
   Luca, assai perplesso nel guardarli, prova tre pizzichi di laica antipatia, perché non sopporta chi si pavoneggi in una casacca, quale che sia. Due di loro, dentro i loro vestiti bianchissimi, iniziano a parlare di questioni profane -ogni tanto ci sta: ammesso e non concesso che questo tipo di pissi pissi sia un peccato, è veniale-. Argomento: l’ennesimo sciopero di mezzi pubblici, un non lavoro che inizierà fra poco. I due sono d’accordo: chi vi partecipa ne ha ben donde, perché…
   Il signor Alamaro si alza e si allontana: quando è troppo è troppo. Lui detesta chi, esercitando un mestiere che riguarda la quotidianità di tantissime persone, ha l’incosciente hobby di scioperare. Il dottore non fa in tempo a iniziare mentalmente una filippica contro quei fan di deprecabili interruttori di pubblico servizio: il tram si ferma dove non deve.
   Perché? Come mai? Fra i passeggeri i punti interrogativi serpeggiano come bisce. L’arcano è presto svelato: Cesare si è sentito poco bene. Dopo un po’ lo si vede fuori. Sta parlando con un vigile urbano, mentre un collega di questo pizzardone tiene sotto controllo il traffico veicolare nei paraggi del tram. Il vigile consiglia al conducente di non continuare il suo turno, per andare a sottoporsi a una visita e… Niente da fare, il tranviere non è assolutamente d’accordo. “Non se ne parla proprio, adesso sto bene, non si preoccupi…Io i miei passeggeri non li abbandono, mi sento un loro amico e servitore”.
   Gli occhi di Luca, dopo che le sue orecchie hanno ascoltato queste mirabilia, emanano emozione, anzi commozione. Alcuni soggetti hanno l’hobby di astenersi dal lavoro, non dicendo “sciò!” all’uzzolo di un ennesimo sciopero, anche quando danneggiano il tempo di folle oceaniche. Galantuomini come Cesare, che tratta ogni passeggero come un suo re, vogliono lavorare anche dopo un malore. Merita una standing ovation…

Walter Galasso