![“FACIS DE NECESSITATE VIRTUTEM”. LE RUBANO L’ ABITO, USA UN SURROGATO E SLAYA [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 31; DA CRONACA A RACCONTO] “FACIS DE NECESSITATE VIRTUTEM”. LE RUBANO L’ ABITO, USA UN SURROGATO E SLAYA [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 31; DA CRONACA A RACCONTO]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/09/1756926983968_uk7up4_2_0-scaled.jpg)
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DI WALTER GALASSO

La protagonista di questa storia si chiama Elda e preferisce, soprattutto nei giorni dispari della settimana, il nickname “Aelda”, coniato da lei stessa, per imitare una sciura che si chiama Micaela e ha un’ottima posizione sociale.
Eclettica? Di più. Svolazza, come una farfalla che faccia piroette di fiore in fiore, da una competenza a un’altra, mai tirandosela in questa performante ricchezza. È una donna acqua e sapone e champagne, eccelle in energia, eruttata dal suo sofisticato animo come spettacoli offerti al mondo dal vulcano Etna. Sa fare tante cose, stecchisce con il suo talento ogni rischio di monotonia, si produce in sequenziali prodezze all’insegna di una fulgida poliedricità, ma, al netto di questa latitudine, il suo artistico cuore predilige la pittura. Ammette che la sua bravura non supera, e nemmeno raggiunge, quella di Michelangelo, ma ci tiene a precisare che crede di valere mille volte di più di tante mezze calzette raccomandate. Questa eroina, però, ancora non ha spiccato il volo.
Coltiva, nella sua ferace immaginazione -una miniera, mai di maniera-, una vastissima collezione di sogni di gloria, spinti da una fortissima propulsione psichica, e per tradurne in realtà almeno tre su 4.648 non esiterebbe a correre qualche rischio, perché lei, ogni mattina, poco dopo aver detto “bye-bye arrivederci” a sor Morfeo, recita il mantra “chi non risica non rosica”.
Nondimeno giova precisare, a perfezionistico scanso di equivoci, che la sua (sanissima) ambizione non le impedisce di essere, quando occorra, elasticamente duttile, capace di entusiasmarsi pure per pinzillacchere e quisquilie. Aelda, infatti, scafata volpona, sa che un soggetto può possedere tutto l’oro del mondo e non riuscire a goderne nell’animo, così come può avere solo pochi beni essendo capace di bearsene: sa che ogni persona è, sol che lo voglia, padrona delle proprie emozioni, alla faccia di chi desideri accalappiarne il libero arbitrio condizionandola dall’esterno. Questa aspirante campionessa è dunque in grado di appassionarsi anche a esperienze così così.
Oggi, per non fare che un esempio di questa virtù, fischietta e sprizza ottimo umore mentre si prepara per uscire, diretta a una stazione ferroviaria. Salirà su un treno che la condurrà in una città, Venezia, dove si sta celebrando un importante Festival: lei ne sarà solo una spettatrice, ma adesso la sua mente è comunque in brodo di giuggiole, gasata, con un’effervescente tonalità emotiva. Della serie: “Chi si accontenta gode”.
Elda porterà seco una valigia che sfiora le dimensioni di un pied-à-terre. Dentro è gelosamente custodito un sibaritico abito, una griffata chicca in cui sono cristallizzati tanti suoi risparmi, messi da parte, in uno scultoreo salvadanaio a forma di gazzella, con stoica abnegazione.
Anche il suo edonismo è debole, pure lei avrebbe voluto darsi alla pazza gioia andando in uno stabilimento balneare dove un gazebo costa settecentoquattro euro al giorno, ghiotto status symbol. Pure lei avrebbe voluto spendere e spandere, sperperare una collina di banconote per divertirsi fino a stancarsi, facendo marameo agli sfigati che vanno in vacanza in tratti squallidi di spiagge libere senza comfort. E vogliamo parlare della sua passione per i gioielli? Ah, quanto li desidera! Quando, in una gioielleria, l’orefice, magari un fico con la erre assai moscia, parcheggia un diamante a mille cavalli, e il capolavoro sembra, dietro i vetri, il primo nipote dell’Imperatore Sole, Elda Aelda, se si trovi casualmente a un metro da quella rarità, avverte l’esigenza di piangere. Lacrime di gioia, ammirazione, desiderio, invidia, estasi, idolatria, comunque un emozionatissimo pianto. Ecco perché, accumulato un bel gruzzolo nel suo dindarolo ambientalista, avrebbe voluto aprire la porticina, un grazioso oblò, per estrarre l’aulente grana -per alcuni ogni banconota odora più di un’intera profumeria- al fine di utilizzarla in un negozio Bulgari.
Ha represso la sirena di questa tentazione, qual fata con la testa saldamente sul collo, e ha preferito acquistare ‘l’abito della festa’. Siccome il vestito fa spesso il monaco o la suora, Aelda ha voluto procacciarsi almeno un outfit in grado, in una situazione speciale, di farle fare una bella figura. Si è recata in pellegrinaggio in una boutique di altissima moda, uno store dove fa shopping nientepopodimeno che una celebre influencer di nome Chiara -i suoi capelli, a nord di pensieri light, sono stressati dalla loro leggerezza-. Ha comprato l’unico vestito che potesse permettersi e adesso lo sta portando con sé nella Serenissima, dove parteciperà, sia pur come comparsa, al suddetto Festival.
Esce dalla sua maison, scende le scale lemme lemme -ha sempre paura di fare un capitombolo e buscarsi un guaio dopo il patapunfete-. Poi, non appena varca la soglia del palazzo, accelera. Cammina, in tutto il tragitto fino alla stazione, con una velocità record, avendo la sensazione di avere ali d’aquila ai piedi, pur non avendo bevuto qualche bevanda a base di “taurina & Company”. È proprio vero: certe volte la fantasia supera di cento metri la realtà e/ma la realtà, per vendicarsi, poi supera la fantasia di un chilometro. Questa donna sfreccia come una saetta e neanche lei sa come riesca a essere così celere. Il bagaglio monstre? La sua mano, durante il “volo”, ha la sensazione che sia leggero come due piume e mezza. Meglio così.
Arriva nello scalo -un incasinatissimo caravanserraglio- e sale a bordo di un serpente Frecciarossa, che nel muso appuntito sembra un missile su rotaie. Dopo un fischio che la fa sobbalzare, peggiore del trillo di un vigile urbano, finalmente albeggia la “startup” dell’avventura.
A un certo punto la signorina avverte l’esigenza di una minzione: si alza e va nella toilette. Non l’avesse mai fatto! Al suo ritorno la valigia, che ella aveva messo sul sedile accanto al suo -tanto ama quell’abito che aveva acquistato un biglietto tutto per lui-, non c’è più. Noooo!!! Mani nei capelli, incipiente disperazione, dissimulata proprio per non dare spettacolo in un’isterica sceneggiata, ma in cuor suo molesta come un tormento in avaria.
E mo’? Moplen!, anzi no. Adesso, o meglio: quando la donna arriva in un prenotato albergo veneziano, si lambicca il cervello per trovare un surrogato del disperso look di gala. Grazie a un frizzante guizzo della sua creatività prende un lenzuolo e lo trasforma, con un escamotage della sua resilienza, in un eteroclito abito. Lei crede che così limiterà i danni, sostituendo l’originale con una copia alla men peggio, invece il lenzuolo d’haute-couture diventa un successone, slaya e il nome della donna balza agli onori di molte cronache, addirittura a livello nazionale.
La demoiselle, pittrice e creativa, che si fa chiamare Aelda per arieggiare una Micaela vip, senza ottenere nessun risultato con questa imitazione, spicca il volo, invece e finalmente, ispirandosi all’insegnamento di San Sofronio Eusebio Girolamo: “Facis de necessitate virtutem”. Ah, la Vera Cultura!…
Walter Galasso