![UN GIGANTE TUTTO FUMO E NIENTE… [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 30] UN GIGANTE TUTTO FUMO E NIENTE… [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 30]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/08/2025829161131904_copy_1225x1388_copy_1388x1573_copy_3072x3481-scaled.png)
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DI WALTER GALASSO

Un meccanico, Ruggero Piovetti, fatica con stacanovismo nella sua officina, coadiuvato da Pippo e Gerry, due ragazzi che stanno imparando il mestiere. Guaglioni volenterosi, disposti a sgobbare per avere un’occupazione redditizia, sicuramente lodevoli a livello d’impegno, però… Però ancora devono fare molta strada per meritare la stima del boss, che li sgrida sovente, talvolta in modo brusco. Mister Ruggero, non si può negare, si macchia talvolta, nella gestione di questo personale, di mobbing. Gli fa lavate di testa pazzesche, gli invia filippiche tranchant, cicchetti memorabili. E purtroppo talvolta queste arcigne rampogne sono fatte in presenza di altre persone.
Adesso, per esempio, il maestro, davanti al dottor Ernesto Cracchi, un suo fedele cliente -qui, in compagnia di sua sorella Carla, per saldare un conto-, si appropinqua a Pippo, a capo chino in un’auto, per installare un’autoradio -Ruggero è anche elettrauto-, e inizia a dirgliene di ogni. Gli imputa di non capire un’acca, lo esorta ad aprire gli occhi, a lambiccarsi il cervello per crescere professionalmente, ché è troppo imbranato, eccetera.
L’allievo, trattato come una mezzasega buona a nulla, ingoia il rospo, abbozza senza reagire minimamente, ma dentro, nella privacy del suo animo, lo sbarbatello è profondamente risentito. Il suo volto, man mano che il capo gli vomita addosso le sue violente accuse, cambia espressione. Zittisce, muto come un pesce, remissivo come una pecorella, ma il suo cuore è incendiato dalla rabbia, affetto da un feroce rancore.
Il dottor Cracchi deve mordersi la lingua e contare fino a mille per non intervenire. È un trinariciuto aficionado della gauche. Ideologicamente rosso, feticistico ammiratore del Sessantotto e dei suoi derivati, fervente atleta di valori come democrazia, uguaglianza universale, rispetto reciproco al di sopra di ceti e di classi sociali, egli non sopporta chi maltratti un dipendente. Tempo addietro ha pure scritto un articolo giornalistico, pubblicato su una testata della Toscana, in cui ha trattato il delicato tema dei diritti dei lavoratori e della deontologica stima che ogni principale ha da tributare alla dignità dei suoi subalterni. Nella sua visione del mondo è un dettame indefettibile l’istanza di un’effettiva parità morale fra tutti gli attori sociali, a prescindere dal ruolo ricoperto nel sistema. Va da sé che questo comunista doc, permeato di un engagement ai limiti dell’estremismo politico, stia stigmatizzando in modo profondo il cicchetto eruttato da Ruggero versus il povero pivello. Una parte di lui vorrebbe tanto intervenire in difesa del secondo, spezzare una collezione di lance a favore del tapino Pippo, passivamente protagonista di una grande figura barbina. Nel contempo l’intellettuale non vuole mettersi contro il sadico, iracondo aguzzino.
Per paura? Ma quale paura d’Egitto! Uno degli slogan con cui egli suole propagandare il proprio valore è “Non ho paura di niente e di nessuno”. In certi frangenti, quando, per esempio, la sua compagna, Maddalena Centodieci, gli dice che con il suo caratteraccio corre il pericolo di urtare la suscettibilità di qualcuno ed esserne aggredito, lui, con iattanza da guappo, replica che deve ancora nascere chi sia in grado di metterlo sotto scacco. Ergo è da escludere a priori che in questo momento possa paventare di andare incontro a una violenta reazione del meccanico inviandogli una critica per il modo in cui sta trattando quel moccioso malcapitato. L’unico motivo della sua titubanza è il desiderio di non litigare con un uomo ch’egli ormai reputa un amico.
Si conoscono da tanto tempo, hanno chiacchierato in centinaia di occasioni, talvolta si sono confidati, senza tabù e infingimenti, delicati segreti. Ernesto tiene al proseguimento, e magari a un ulteriore sviluppo, di questo bel rapporto.
Egli, nella sua complessa psiche, pendola fra valori antitetici. Siccome sia l’idea di intervenire che quella contraria sono forti, l’una e l’altra abbinate con diversi pro, l’uomo versa in un fastidioso tentennamento. A un certo punto, mentre dalla bocca del signor Piovetti continuano a uscire offensive parole verso e contro il garzone, Ernesto si dice -credendo di aver preso ormai una decisione irreversibile- di farsi i fatti suoi. Preferisce astenersi da un’ingerenza che potrebbe sancire il ‘The End’ del suo rapporto con una persona a cui tiene. Siccome questa neutralità pesa, e pure assai, al suo animo, che sta provando un mezzo senso di colpa per la mancata difesa di una vittima di autoritaria e spocchiosa arroganza, l’uomo decide di andarsene prima del previsto. Chiede al titolare, mentre la sorella continua a non aprire bocca, se gli può corrispondere i soldi che gli deve, perché va di fretta e non può stare a lungo. Paga, Ruggero ringrazia e saluta lei e lui. Risponde solo Ernesto. Carla, invece di ricambiare l'”Arrivederci”, lo squadra dalla testa ai piedi, e il suo sguardo sembra il pennello di un pittore che componga l’identikit di un delinquente.
Ernesto e Carla escono dall’officina. La donna, tipa tosta e pasionaria, senza una tessera politica in tasca ma più a sinistra del fratello, iscritto al suo partito da quando era un ragazzino, continua a zittire: un silenzio forse foriero di tempesta. Tolgo il forse: Ernesto le chiede come mai sia taciturna, e lei inizia un processo, brevissimo e durissimo. Un processo che consiste solo nella lettura della sentenza: “Quello stronzo ha trattato come una merda quel povero ragazzo e tu acqua in bocca, sst, non una parola. Mi meraviglio di te”. L’imputato balbetta un “Ma che dici?”. “Dico, caro fratello, che pure tu sei capace di mettere un amico prima di un ideale. Certe volte sei un gigante tutto fumo e niente…”, e non aggiunge altro. Il noto proverbio, che nella sua interezza sarebbe arrivato a Ernesto come un pugno, in questa forma, amputata ad arte, somiglia a un uno-due nella box, e gli fa ancora più male.
Walter Galasso