A KADY DIARRA.  IMPARARE DA UNA BURKINABÉ CON LA MUSICA NEL CUORE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 28;  1  AUDIO,  “NATA”, KADY DIARRA  (TWANI REMIX)]

A KADY DIARRA.  IMPARARE DA UNA BURKINABÉ CON LA MUSICA NEL CUORE   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 28;  1  AUDIO,  “NATA”, KADY DIARRA  (TWANI REMIX)]

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ALLEGO AL PRESENTE RACCONTO L’ AUDIO  “NATA”, DELL’ ARTISTA BURKINABÉ   KADY DIARRA  (TWANI REMIX), IN SEGNO DI AMMIRAZIONE E RISPETTO VERSO LA MUSICA DEL BURKINA FASO E TUTTA L’ ARTE DELL’ AFRICA.

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KADY DIARRA, “NATA” – TWANI REMIX

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DI WALTER GALASSO

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   Il disordine gira come un disco. Emana rumorosa musica, mette a soqquadro il torpore di coscienze alloppiate o rassegnate, secerne un senso che può apparire degenere, ma anche saporito e positivo, dipende dai punti di vista e d’ascolto.
   Una dannata voglia di protagonismo infetta l’interiore relax di Max, già leader -della sua comitiva, quand’egli era un guaglione di belle speranze-, adesso uno standard uomo a corto di eccellenza. Sta camminando, in un momento di enfasi della muscolatura delle sue gambe, e la sua mente, mentre vede, mente a se stessa. Una mastodontica massa di dubbi ferve nel suo cervello, in regioni che la sua limitata cultura ignora, e la migliore autodifesa -dal loro microscopico choc- di cui questo signore disponga è un prudente abbassamento del numero di pretese cognitive. Non sa dirimerli, non ha la più pallida idea di come trasformarli in fulgide e rassicuranti certezze, ma, in un’istintiva economia della sua ordinaria spiritualità, può neutralizzare questo inconveniente con un escamotage terra terra: non pensandoci.
   Che torrentizio fiume il flusso dei suoi pensieri! Un river quasi in piena, allegoriche acque con effervescenti bollicine e caos dinamico. Misteriosa fauna sotto il pelo di questo corso e, sopra, fiere rapaci, in acrobatico volo, pronte a tuffarsi per catturare qualche inerme e ghiotta preda.
   Massimo -cognome: Arrosino- attraversa una strada, guardando, prima del guado, sia a sinistra che a destra, nonostante che la street sia a senso unico, poiché una sadica, padrona nevrosi, indiretto frutto di un parziale trauma nella fase più delicata della sua adolescenza, lo tiene sovente al guinzaglio. Con la coda dell’occhio capta, sotto la fatiscente pensilina d’una fermata di mezzi pubblici, una donna di colore. Si chiama Mariam, proviene dal Burkina Faso, appartiene al gruppo Bissà. È una fan di Kady Diarra, bravissima artista, eroina culturale del suo Paese.
   La signora Mariam, in una pellicola della Decima Musa, avrebbe il physique du rôle sia della regina che della proletaria: questo l’incipit dell’interpretazione che ne elabora l’uomo. Ella ha un cercine sulla chioma, contrassegnata anche da appariscenti e vivide extension, porta seco un bambino, che le somiglia più di poco e meno di molto, un suo polso è attorniato da un massiccio e dorato bracciale. Ancora: sulla panchina, su cui lei è assisa con equilibrata compostezza, la straniera ha appoggiato due buste della spesa, e i suoi occhi, grandi ed eloquenti, gemelli specchi di un animo in parte misterioso, emanano una specie di luce. Ibrida, perché nei suoi poetici fasci coesistono un grammo di nostalgia e un chilo di fierezza.
   La campionessa non è déraciné, se qualche intellettuale pensi il contrario dimostra di voler fare quattrini e carriera con una banale e pretestuosa pubblicazione. Sprizza gagliardia e souplesse, sta stabilmente al centro della sua scena e situazione, proprio nell’ombelico, depositaria di autostima e autocontrollo, però… Max ha la sensazione, al netto della fierezza che in lei registra nitidamente, che in un angolo del suo muliebre animo le manchi il suo bel Paese. Cosa ha provato quando è partita, abbandonandolo mentre gli lanciava idealmente un bacio commovente? Bye-bye, arrivederci, a presto, ti voglio tanto bene, la parte peggiore di te è più bella della migliore del posto dove sto andando: forse l’umana leonessa ha salutato così la sua cara patria, anzi Patria, prefiggendosi, dopo aver cercato e trovato fortuna in terra straniera, di ritornare da Lei.
   L’ uomo, scivolando in questo tourbillon di aggrovigliate interpretazioni, avverte l’esigenza di fermarsi provvisoriamente, solo un po’, mica un’eternità, per guardare meglio l’intrigante sconosciuta. Un rebus a cielo aperto, un enigmatico fascio di caratteristiche, una collezione di impliciti insegnamenti. La sua bellezza forse combatte contro il rischio di ritrovarsi davanti a un giudice esatto, chiamato “Specchio”, e vedersi non tale e quale rispetto al suo glorioso apice nel fior fiore della Giovinezza. Forse, non è detto, magari è una venustà evergreen, però, se pure questa lotta è in atto, la sua grazia sta vincendo la tenzone. La sua avvenente femminilità concorre, a livello fenomenologico, all’emanazione, da tutta la sua persona, di un’idea di chiara forza, ma Max, per certi versi ‘encantado’ di fronte a quella venere acqua e sapone, è intento a guatarla anche per altri motivi.
   Ne è, certo, un ammiratore, sarebbe contento di mettersi innanzi a lei, ginocchioni, e dedicarle una romantica serenata con un folcloristico mandolino e lo strumento denominato “corde vocali”, ma il suo Io abbisogna di seguitare nella contemplazione di quella nobile sconosciuta pure per una curiosità di stampo culturale. La vede come un faro di solidità psicologica, una fonte di umore energico, un teatro di equilibrio spirituale e poetico. E poi il suo stesso outfit ispira un antidoto a potenziali attacchi di insecuritas -una brutta bestia, che lo prende spesso e volentieri di mira, mettendo a repentaglio la sua brama d’inviolabile serenità-. I colori del suo baldanzoso abbigliamento, qua e là sgargiante e variopinto, sono icastiche icone di ottimismo. I suoi pronunciati accessori -da una sua monumentale collana parte, all’arrivo di un dardo solare, un riflesso che pare un teatrale colpo di scena – hanno un’intensità  possente. E le sue shoes? Vogliamo parlare delle sue scarpe? Sono ideali case per i suoi piedi, belli e importanti. Poste nell’estremo sud della sua apparenza, hanno la virtù di far pendant con la grinta che si propaga dalla settentrionale testa.
   La patente positività di quella persona ha, di fatto, una valenza terapeutica nella reiterata osservazione di questo maschio non alfa, con una personalità non proprio leonina ed epica. Più Max la guarda e più si sente risollevato. L’uomo prova un bisogno di ‘osmosi’ esistenziale fra sé e lei, un’istanza che si aggiunge, in modo soave, a una notevole attrazione erotica e a una costruttiva ammirazione culturale. “Quella donna -pensa il fan- ha un non so che…”.
   Forse il precipuo contenuto -che lui non sa identificare con esattezza- della sua marcia in più è la speciale arte della bella burkinabé. Una donna che pure nel silenzio o nel rumore sa udire musica, in sé, e pure quando è seduta, come in questo momento, sa danzare, nell’invisibile teatro del suo animo elegante. Max si sente meglio guardando Mariam, ricchissima di élan nella sua calma, perché impara dalla sua forza morale.

Walter Galasso