![UN CAMPIONE DELLA MERAVIGLIOSA AFRICA [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 27; NO RACISM] UN CAMPIONE DELLA MERAVIGLIOSA AFRICA [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 27; NO RACISM]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/08/martin-luther-king-180477-scaled.jpg)
[IMMAGINE IN EVIDENZA: MARTIN LUTHER KING, CONFERENZA STAMPA]
*********************************************
DI WALTER GALASSO

La fretta è pessima consulente e fa i mici orbi, eppure in questo mentre, segmento nel Tempo Universale, essa trionfa nella condotta di molti passanti. Brulichio di persone, elettrico viavai caratterizzato dall’adrenalina insita nel match fra i propri progetti e la paura ch’essi falliscano, in una miserrima caporetto della reputazione borghese.
Due esercenti, Sonia, biondissima, e Laura, bruna come una notte senza luna e senza watt artificiali, sono gemellate in un denominatore comune -da alcuni detrattori reputato trash-: entrambe le chiome hanno una tinta farlocca, frutto dell’abilità del coiffeur di cui sono parimenti clienti.
Due persone talvolta sinonimo di lue dell’altrui reputazione. Lingue trisulche iscritte all’albo ‘Gossip & Arsenico’, incallite vipere della diffamazione, capacissime di ricoprire di metaforico letame tutta l’estensione, dall’alfa all’omega, del prestigio d’una mammola. In fondo, però, ma proprio in fondo, in ambedue coesistono un’arpia, malalingua, e una mezza fata: quel che resta, nel grigiore esistenziale di ‘anta’ così così, delle ex ragazze che sempre qui, in questa prestigiosa strada, si facevano corteggiare, con larvata civetteria e falsissimo fastidio, da un discreto battaglione di aficionados. Pappagalli spiantati, di loro gradimento erotico, e qualche buon partito, dai loro occhi percepito come un contrario del termine ‘adone’. Forestieri venuti a Roma per rimorchiare, da esse esclusi a priori ché le sciure volevano mariti e vacche del loro quartiere, e periferici proletari, simpaticissimi ma con pochi schei sul corrente conto e piuttosto in crisi come cultura generale. L’elenco di imperfetti identikit è ancora lungo, ma s’è già capito che i pretendenti alle loro mani, in una specie d’indiretta coperta di Linus, avevano sempre un gap di requisiti. Ah, che iella essere corteggiate o da uno con i denti ma senza pane, o da un titolare d’avviatissimo panificio -per esempio l’Antico Forno Roscioli- ma, sigh, con dentiera in avorio al posto di performanti e originali zanne.
E così lei e lei, donzelle esuberanti e freschissime, a furia di dispensare due di picche a proci inadeguati, a furia di escludere spasimanti dal loro profumato “Sì”, a un certo punto, realizzando il guaio di non essere più, almeno al cento per cento, sexy squinzie in fiore, hanno dovuto abbassare la cresta, in un pareggio con i desiderata di un Fato parzialmente avverso, e farsi piacere, come rispettivi mariti, Alfio e Rocco.
Il primo, agrodolce metà di dea Sonia, era ed è un ricco ma baluba signore, col vizietto di correre dietro alle gonnelle pure poco dopo la fastosa celebrazione del matrimonio. Il consorte della chiara signora, che lo ha scelto come cavaliere ufficiale per esorcizzare la paura di rimanere zitella e il terrore di diventare povera, è un personaggio che se in una conversazione non apra bocca ci guadagna. Strafalcioni, errori sesquipedali, qua e là qualche gaffe, ‘gnurant’ più di…
Il secondo, parimenti paperone, e appena appena più gradito eroticamente dalla pur esigente Laura, ha sempre avuto il viziaccio di bere troppo -perbacco che fan di Bacco!- e di smarrire, nel brutto mezzo delle sue sbronze, un pieno, signorile, umanistico autocontrollo. Ne sa qualcosa anche la sua Lauretta, ch’egli, quando è lucido, non tocca nemmeno con un fiore, mentre quando non lo è, e dà in escandescenze, la tratta male. Molte volte la signora, quando è stata capace di non rifugiarsi in un pavido escapismo, ha pensato al termine “divorzio”, benedicendo il Sessantotto e chi, dopo averlo vissuto da rosso protagonista, ha dimostrato di avere palle quadrate non tradendolo per un piatto di lenticchie su un cadreghino. Però… Però per fare una rivoluzione, piccola o grande o media che sia, ci vuole engagement, idealismo nelle vene insieme al sangue, voglia di coerente cultura, Coraggio e amor di camaleontica commisurazione a un nuovo orizzonte, e … Laura non ha queste risorse, punto e basta. Ha pure pianto, qualche volta, per non essere fatta in modo diverso, ma queste drammatiche e impegnate lacrime in lei sono sempre state un’eccezione in mezzo a standardizzate e becere risate.
Come quelle a cui si sta dedicando adesso, mentre bisbiglia qualcosa alla sua compagna d’avventurosi pettegolezzi seriali. Le dà di gomito, con la rozzezza d’un ungulato cinghiale e la leggiadra agilità d’uno scoiattolo femmina. Ha da comunicarle -nella semicarboneria d’un labbreggiare discretissimo nell’acustica e impiccione nel contenuto- news in diretta. Oggetto della calunnia, parzialmente paragonabile, in una fantasiosa e pindarica similitudine, alla pravità di demoni unni, è una scena che si sta realizzando a non molta distanza dai loro quattro piedi.
Kamsi, straniero di colore e artista di strada, dentro una ieratica tunica in parte arlecchina e in parte noisette, è, come spesso succede, seduto su un gradino. Suona e canta, canta e suona, usando uno stranissimo strumento, che sembra un parente povero di un’arpa aristocratica. È un oggetto esotico più o meno come lui, il musicista che, adoperandolo, sembra fargli una dichiarazione d’amore culturale mentre, con l’utilitarismo dello show, cerca di procacciarsi elemosine simili il più possibile a biglietti d’uno spettacolo sold out. Nella sentitissima performance egli sembra un campione in trance agonistica. Per lui non è facile catturare monete, men che meno banconote. Poco fa è passato un tizio, Kamsi ha cercato di attirare la sua attenzione e un suo obolo, ma lo sconosciuto, fisicamente alto all’incirca un metro e settanta, è apparso un’altissima montagna da scalare come potenziale estimatore della sua arte e benefattore della sua economia. I più non se lo filano. Gli passano vicino, ma non lo vedono, come se affetti da una particolare forma di presbiopia.
Laura, siccome passa una suora e non gli dà soldi, né attenzione, ha voglia, maramalda, d’infierire sulle mezze disgrazie sociali dello straniero. La serpentessa è allergica al rispetto: “Poveraccio, neanche una religiosa gli ha sganciato grana. Mi chiedo che vengano a fare qui, lasciando il loro Paese e pensando di trovare l’America, per poi fare la fame. O.k., l’Africa fa pena, è Terzo Mondo e miseria, ma quel negro forse se la passa meglio in quel modo?”. Sonia, annuendo, tiene bordone alla sua stronza e razzista perfidia.
Kamsi è stanco, sudatissimo, gli sta girando la testa, e smette di suonare. Si concede un break. Paradossalmente proprio in questa pausa un turista si ferma, si china e lascia una moneta da due euro nella scatola che l’uomo ha sistemato davanti a sé, e poi prosegue la sua passeggiata. Il figlio della MERAVIGLIOSA Africa, spossato nell’organismo ma gigante nell’animo, si alza, afferra la moneta, insegue il benefattore e gliela dà: “non stavo suonando, non è giusto accettarla”. Il tutto sotto gli occhi di Sonia, che nemmeno fa caso al beau geste, e Laura, che prova una strana sensazione. Forse in un angolo del suo animo sta arrivando la eco dell’applauso che la Via, nella sua invisibile poesia, sta tributando a quel campione.
Walter Galasso