![FURTARELLO DI PUNKABBESTIA E UN OSTE MIGNATTA [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 25; RACCONTO CONTRO L’USURA] FURTARELLO DI PUNKABBESTIA E UN OSTE MIGNATTA [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 25; RACCONTO CONTRO L’USURA]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/07/Plutarco-No-allusura-M-DAuria-Editore_copy_802x609_copy_1604x1218_copy_3208x2436_copy_6416x4872-scaled.webp)
[RACCONTO CONTRO L’ USURA]
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DI WALTER GALASSO

Un gabbiano metropolitano regala il suo bianco alla sorridente attenzione di un turista, residente in un altro continente, venuto a Roma per poter dire “io L’ho vista, e non La dimenticherò mai più”. L’animale rovista, con un piglio autoritario, in un poco grazioso poggio di rifiuti, monnezza non ancora ritirata dagli eroi della nettezza urbana. Vuole, fortissimamente agogna un menu da leccarsi il becco, e guai al competitor che osi frapporsi tra lui, maschio alfa, e il ghiotto cibo. Purtroppo i racconti ispirati dalla malavita, sia nella Letteratura che nella Decima Musa, sono più numerosi delle favole dedicate a campionesse e campioni della fauna universale. Peccato.
L’uccello può apparire predatore e ingordo, ma sor Lino, ristoratore che qui ed ora sta sull’uscio del suo locale, lo è di più. Il seagull appartiene ai Laridi, l’oste ai luridi, ché ha il viziaccio di prestare soldi a strozzo. Cravattaro, quantunque l’apparenza, che inganna anche quando occulta con omertà fenomenologica, non denoti il suo legame con questo crimine.
In lui l’usura è il primo livello di voracità. Il secondo, lecito ma comunque disdicevole a livello culturale, è la sua ossessione per il guadagno, una monotonia che assorbe dall’alfa all’omega il suo Io. Viene in mente “E penso a te”, di Lucio Battisti, in un remake all’insegna di un decadimento depravato. Lui si lava, e pensa al denaro. Lui passeggia, e pensa ai nummi. Il fetente corteggia una potenziale amante, e pensa al suo conto corrente. Non ne parliamo quando, come adesso, lavora. Nell’esercizio del suo mestiere fa sentire ogni banconota più importante di una nota opera di Letteratura Universale, e più solenne della Bandiera del Bel Paese.
Lino, sull’attenti, a braccia conserte come un duce prima di sparare propaganda da una loggia, e lo sguardo che sfida il pericolo d’una crisi somigliando a quello di un catoblepa, tiene sotto controllo l’arcipelago dei suoi tanti tavolini. Oggi, almeno adesso, zero sold out, e questo lo terrorizza: azzo, che sfiga! Questo non ci voleva. L’uomo aspetta e spera che ogni posto sia occupato. Anche una sola sedia libera lo fa sclerare. La non garanzia d’introiti che un “libero professionista” -lui così si definisce- deve portare seco -come un’ombra assolutamente appiccicata per le indefettibili leggi della fisica- lo espone al costante pericolo di buscarsi burnout. ‘Sta modernissima sindrome potrebbe, un cattivo giorno, riguardarlo, se, puta caso, lui diventasse solo ricco, già ricchissimo. E allora il mostruoso personaggio, per esorcizzare la fifa blu, per bonificare le parti della sua interiorità dove cresce l’ansia come la gramigna, fissa i posti a sedere. Una ripetizione che lui spera simile, in una valenza apotropaica, a un ciondolo portafortuna.
A circa centotrenta metri di distanza la signora Carla, cassiera in un supermercato che ha recentemente cambiato gestione, parla in modo concitato al telefono. Su una parte del dispositivo, acquistato dopo aver letto un’occasionissima su un volantino -con fibra riciclata- di high-tech, resta un po’ del suo rossetto. I suoi capelli, biondi (ma) in modo innaturale, sono arruffati. Fortunatamente la sua dignità non è danneggiata dal boss Caldo, che purtroppo sta aumentando -fanno fede, nel computo statistico dell’escalation, i diligenti termometri, che lavorano sempre, in tutti i numeri sopra lo zero, con zelo, mai uno sciopero, come invece accade nei trasporti, per dirigenti che paralizzano l’agio del popolo-.
La signora è sposata e separata, e ancora ella non ha capito quale sia il termine migliore per etichettarla: single, #dinuovonubile [ogni tanto un hashtag ci vuole], zitella… Spesso pensa a questo quarto di problema. Quando ha varato il suo profilo Facebook -recentemente: è una dama baby boomer- ci ha pensato su tutta una notte, non cavando un ragno violino dal buco, qual Mistress Tentenna. L’aurora, quando è arrivata come una Regina senza auto blu, ha trovato sotto i suoi occhi -molti dicevano, quand’era ragazza, che parlassero e fossero galeotti- borse, non contraffatte, originalissime, davvero in grado di esprimere il suo stato d’animo.
Carla pensa e ripensa alla sua situazione sentimentale, forse tale argomento in lei dicasi tarlo, ma oggi ‘sto turbamento non può avere, almeno in questo momento, cittadinanza. “Jessica, sapessi! Poco fa abbiamo subito una rapina”, rivela, nella call in fretta e furia, a una donna che nell’umanità rappresenta la sua più cara cugina, diciamo una sorella ad honorem. La conversazione, equivalente a un dispaccio di un’Agenzia di stampa, dura un amen. L’impiegata non può assentarsi a lungo, ché dentro, sul e nel teatro del fattaccio, ci sono già due agenti, una poliziotta e un suo collega.
Si sta recando in questo esercizio il signor Ugo Attante, residente in questo quartiere, ch’egli conosce come le sue tasche. In questa domenica estiva la sua famiglia deve procacciarsi, come nei Giorni della Merla, le indispensabili vettovaglie: la pappa è un imperativo categorico quattro stagioni. L’uomo, encomiabile volontario, di buon grado coltiva l’hobby di fare le veci di sua moglie nel fare la spesa. Di fatto non cambierebbe nulla se questa faccenda non gli piacesse: dovrebbe comunque sbrigarla. La signora è stata chiara: fra qualche settimana si festeggia l’arrivo del Tremila, non siamo mica nella preistoria, alza i tacchi e collabora, ché nel nostro ménage regna la Democrazia”. E lui, illuminato progressista, sta collaborando.
Transita davanti al ristorante di Lino e, nonostante gli ottimi odori culinari che escono dal locale, dove lavora uno chef tre punto zero, prova nausea. Conosce molto bene il bastardo titolare, in questa zona la sua colpevolezza, artatamente mascherata dietro le sue sembianze di oste bonario, è un segreto di Pulcinella. Il probo, adamantino Ugo si è spesso chiesto come ‘sto stronzo sia sempre riuscito a sfangarla. Lo guarda in modo velocissimo, più che en passant, tanto per rivedere l’immagine di un orco a piede libero, e associarle per l’ennesima volta il disprezzo che prova per chi presta 10 e vuole indietro mille o anche più.
Arriva davanti al supermercato, entra, trova le forze dell’ordine, e di primo acchito non riesce a intuire il perché della loro insolita presenza. Lo scopre non subito -evita di seguire o comunque origliare la loro conversazione con il turbato direttore-: successivamente, quando, dopo aver riempito ben bene il carrello, si accinge a pagare il conto alla cassa. Un collega di Carla sta raccontando a due signore, con l’aria di chi è stato protagonista di un evento drammaticamente importante, un conciso riassunto della rapina. Uno sbandato -“e diciamola tutta: un amico del nostro caro parroco, che raccatta ‘sta feccia umana”-, un giovinastro pieno di tatuaggi, vagabondo e punkabbestia, ha trafugato un cartone pieno di lattine di birra, minacciandoli anche con un arnese fatto di parole scurrili. Poi se n’è scappato, ondeggiando nella fuga, “ché quel miserabile è sbronzo già all’alba”. La signora più estroversa: “Ma l’hanno preso?”. Faccia corrucciata del barbuto cassiere: “No, ancora no. Vattelappesca dov’è adesso!”.
Il signor Attante ascolta, mette a fuoco e metabolizza tutti i sensi della storia, senza intromettersi. Ma quando è in procinto di uscire, vicinissimo alla poliziotta e al suo collega, per un attimo ha la tentazione di chiedere ad ambedue se possano, dopo aver acciuffato il punkabbestia, catturare pure Lino, portando in un tribunale prima il secondo e poi il primo… anzi portando l’oste direttamente nella Casa Circondariale di Rebibbia…
Walter Galasso