NO KATSARIDAFOBIA.  UNO SCARAFAGGIO VOLA:  TI PARE POCO?   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 24]

NO KATSARIDAFOBIA.  UNO SCARAFAGGIO VOLA:  TI PARE POCO?   [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 24]

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DI WALTER GALASSO

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   Il bel tempo è un impersonale linguaggio che accarezza, ammicca, consola, infonde coraggio, inietta nelle coscienze, anche in quelle giù di corda o addirittura depresse, la voglia di canticchiare. Sua Maestà Il Sole, magnifico e solo lassù, come talvolta può succedere a un Grande, sta salendo. Pian pianino, lemme lemme, se tu lo fissi nemmeno te ne accorgi, eppure ascende, nel mattutino tragitto dall’aurora al mezzogiorno.
   Una donna passeggia con suo figlio, e il bambino a un certo punto le chiede, con l’incondizionata assolutezza logica di quell’età, se in futuro gli farà fare la vacanza più bella del mondo (una record, così strepitosa e lussuosa da dover figurare nei libri di Storia, dopo Alessandro Magno e prima di Garibaldi). La donna, saggia, preferisce educare e insegnare la vita piuttosto che assecondare: “Tesoro, dipenderà dalle nostre possibilità economiche”… E un soffio di vento, che l’attraversa facendo ondeggiare i suoi eleganti capelli, pare un messaggio di lode da parte di un ambasciatore della Natura.
   Alla fermata di un mezzo pubblico lo aspettano cittadini qualunque, con vestiti impregnati d’insuccesso, e l’exploit d’una dignità che nasconde sotto il suo primo tappeto i suoi maggiori rimpianti. La metropoli emana i suoi postmoderni successi, fra il babelico melting pot di mille idiomi stranieri e un vernacolo che regala a chi lo parla un gagliardo orgoglio.
   Smog, inquinamento acustico, operatori ecologici che fanno il bagnetto a un marciapiede, commercianti non più tre punto zero da quando s’è verificato un relativo flop dei Saldi. Uno, però, vola alto mentre i suoi piedi, in basso, calcano sanpietrini gloriosi. Parla con un amico, e le gocce di sudore che cola dalla fronte, come monelli che si divertano su uno scivolo in uno stabilimento balneare, non impediscono sopra, nel suo cranio, uno scatto di ardua classe. “Caro Alfredo, tu hai detto bene, e ti sembra che la tua idea sia perfetta. È buona, per carità, però fa parte della mentalità dell’Occidente. Io sono d’accordo con te, però, amico mio, abbiamo pure il dovere di metterci nella testa di uno nato a Dubai. Lui le cose le vede in modo diverso”. Wow! Oggi il signor Alfio, decano degli esercenti di questa via, si mette alle spalle la delusione per il progresso della clientela, che non abbocca più come un tempo all’amo e all’esca dei Sales. Oggi regala all’aria pillole di saggezza. E l’aria, per premiarlo, le fa sentire a una persona che se le ricorderà, impedendo che quelle parole, avviluppate in una cultura decorosa e volenterosa, siano risucchiate dal nichilistico burrone dell’Indifferenza, dell’oblio, dell’arroganza -sesquipedale e pervertita-  di chi non se ne frega niente.
   “Ah, era ora!”, esclama enfatico un pensionato, che s’è scocciato d’aspettare il veicolo sotto e dentro il solleone. Il tram arriva. È un tram di Roma, dunque è importantissimo, perché Roma è… è… è…. Venite qui, ognuno dal suo vocabolario, aggettivi laudativi, onoratela, decantate la sua Bellezza galattica, la sua incomparabile altitudine a tutti i migliori livelli. Il signor Paolo, l’autore dell’esclamazione, un banale borbottio che in ultima analisi ci può pure stare, ha commesso un solo errore, uno ma gravissimo. Ha atteso a lungo, ma nell’Urbe, che deve incantare, sempre e comunque, chiunque abbia l’onore di esserci.
   Paolo ha peccato, ma, salito a bordo del servizievole e storico tram, paga subito il fio quando esso transita su un prestigioso ponte. Giù il Tevere è miracoloso, uno spettacolo della natura, un prodigio degli elementi. Oggi il Biondo è uno specchio, sì, proprio un mirror, un’immagine da far venire la pelle d’oca. Tutti gli enti e/o eventi che si riflettono specularmente sul pelo della sua cheta acqua paiono ognuno impreziosito da uno splendido alter ego, integrato di una polarità gemella, sublimato in un fantastico bis. E il signor Paolo ne è, non del tutto consapevolmente, ipnotizzato, sedotto, dolcemente aggiogato. Guarda e riguarda, le sue pupille non si staccano da quel meridionale e colorato e ritmico flusso. La sua ammirazione attuale è il miglior modo in cui lui possa pagare la colpa di prima. Il tram -un numero per qualcuno sinonimo di auspicio fortunatissimo- ovviamente non impiega molto tempo sopra questo antichissimo bridge, eppure l’animo dell’uomo, passato dalle stalle dell’incazzatura alle stelle della Poesia, ha la sensazione che il tragitto sia lunghissimo, diuturno, come ciò che, valendo metafisicamente, sia agli antipodi dell’effimero.
   Il veicolo prosegue la sua marcia. Lungo, esteticamente pregevole, con un non so che di postmoderno, con un’immagine che nella ricezione sensoriale di qualche spettatore risulta una meccanica fonte di psicologica serenità. Forse, e paradossalmente, a qualcuno piace proprio perché è moderato, alieno da elettrica fretta, solenne nella sua andatura, a singhiozzo e compassata al tempo stesso. Incede come un pacifico e regale drago, il suo muso attraversa l’aria, con tutta la possanza delle tonnellate che si tira dietro, come una star in passerella, seguendo un percorso altamente nevralgico a livello urbanistico.
   Una signora, Ludovica, rossa e abbronzatissima come un peperone del jet-set, si sta sciroppando un racconto horror d’una sua conoscente, Matilde, al contrario bianca (e sfigata) come una mozzarella fiordilatte. Sussiste un evidente décalage fra i loro ceti, ma il quartiere accomuna, avvicina anche persone socialmente diverse, favorendo fra loro l’instaurazione almeno d’una cortese conoscenza, se non di un’amicizia vera e propria. Sora Matilde sta narrando a Donna Ludovica, con il tono di chi descriva un drammatico fattaccio di cronaca nera, l’incontro, ieri sera, nella sua cucina al terzo piano, con uno scarafaggio, sbucato da un anfratto sotto il lavabo. Secondo lei la comparsa di questo mostro, che l’ha indotta a urlare come una pazza a tarda ora, è sintomatica del caldo boia di questi giorni, e dell’umidità ch’esso porta seco. Ludovica l’asseconda, fa buon viso a schifoso gioco. Lei odia quel tipo d’animale, è affetta da katsaridafobia, e soprattutto, se fosse protagonista di un’associazione libera in psicanalisi, e lo strizzacervelli pronunciasse il termine “caldo”, direbbe probabilmente “faraglioni di Capri” -dove andrà fra un po’, per trascorrere una settimana di mondana vacanza-, non “scarafaggio”. Prova repulsione per questo insetto, e ne rimuove l’immagine non solo d’estate, ma anche in autunno, in inverno, in primavera e in una quinta stagione che esiste solo nel suo animo delicato.
   Matilde, che sta confondendo la diplomatica falsità di tale ascolto con una vera attenzione, insiste, e nell’insistere mette involontariamente kappaò le fisime -discriminatorie, ché la dama ama il suo pet- della nobildonna. “Bisogna fare attenzione, ché, tra l’altro, gli scarafaggi volano”. Capito, dottoressa Ludovica? Le blatte, gli scarrafoni, i beetles sanno volare -e tu no-:  ti pare poco?

Walter Galasso