![UN RIMPIANTO OSÉ, “HO TANTA VOGLIA DI FARE L’ AMORE CON TE”… [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 18] UN RIMPIANTO OSÉ, “HO TANTA VOGLIA DI FARE L’ AMORE CON TE”… [GALASSIA UNO – RACCONTI ALL’ INFINITO / 18]](https://www.romacampodeifiori.academy/wp-content/uploads/2025/06/R-2730046-1298411257_copy_1198x1164_1_copy_2173x2111.jpg)
*
*
DI WALTER GALASSO

Carlo Alfetto, sceso dianzi da un regionale, cammina lemme lemme su una platform, la prima, nella stazione della sua città.
Con la coda dell’occhio capta due piccioncini che, su una panchina, si scambiano effusioni, in un mix di sesso e sentimento. Un po’ invidia il ragazzo. Lui è single ma obtorto collo, non per scelta propria, e l’assenza d’una dulcinea al suo fianco è, nella sua psiche parzialmente fragile, una cagione di larvato stress.
Transita davanti al bar, e intravede, sbirciando al suo interno, il gestore, un tipo sui generis dal punto di vista estetico. Egli infatti è contrassegnato da un pazzesco paio di anacronistici mustacchi. Baffoni davvero fuori moda, palesemente d’antan, simili a quelli in auge ai tempi in cui Berta filava. Quel ganassa pare uscito da un impolverato manuale di Storia moderna. Carlo sorride, pensando, forse in un ragionamento più grande di lui, che ognuno ha un suo modo di vedere il mondo. Tanti soggetti si vergognerebbero di quei peli sulla bocca, pensando di fare una figura di merda, mentre quel burino se ne bea. Crede di apparire er mejo fico der bigonzo, nel bel mezzo di un’illusione che viene percepita da altri ma non da lui.
Il signor Alfetto, immerso in questo mumble mumble mentre avanza in mezzo a una moltitudine di nevrotici pendolari, lo stoppa traumaticamente quando, arrivato vicino a una fontana pubblica -un tradizionale simbolo di questo scalo-, s’accorge che l’edicola non è più operativa. Purtroppo è calato il sipario sulla sua attività, giunta al suo drammatico ‘The End’ dopo anni di onorato e vivace commercio. L’uomo, del tutto all’oscuro, fino a poco fa, di questa malinconica cessazione d’attività, di primo acchito resta di stucco, intriso d’uno stupore istintivo e al di sopra della letizia e dell’amarezza. Qualche secondo dopo, mettendo meglio a fuoco la problematica, comincia a provare, nella sua squisita sensibilità, un’altruistica, empatica tristezza. Si dispiace per la signora Teresa, che lavorava, con sexy alacrità, in quel negozio. Era fin troppo contenta di essere al centro dell’attenzione in quel frequentato locale. Si impancava a campionessa di savoir-faire e affabilità, si sentiva una dea del locale accanto e, piuttosto fiera del suo aspetto estetico, si metteva sovente in mostra. Una civetteria mai antipatica, la sua psiche aveva del resto tutto il diritto di aprire la ruota quando calamitava l’eccitata attenzione di qualche cliente e spasimante invaghito della di lei venustà. E adesso? Carlo paventa che, dal ‘The Day After’ della chiusura in poi la donna si sia ritrovata in un tunnel di psicologico disagio.
Rimembra, in un dolente e splenetico amarcord, alcuni suoi dialoghi con quella venere bruna. Una volta Terry gli disse, in uno di questi confidenziali abboccamenti, che nel suo rione molti l’avevano soprannominata ‘l’araba’. Una info che suscitò in lui molta curiosità, egli non avendo la più pallida idea del perché e del percome di quel nickname. Avrebbe voluto farle domande in merito, ma per discrezione tacque. Memorabile anche il bla bla bla in cui la pin-up, appollaiata in cima a uno sgabello, con le bellissime gambe a cavalcioni [!*¥°√•…], gli rivelò che il suo matrimonio era imploso. Motivo? Corna, una storiaccia di corna. Lei, in una giornata negativamente indelebile, aveva sorpreso il suo coniuge, Gennaro Crodino -uno abituato, fino al giorno delle nozze, a correre dietro alle gonnelle- con le mani nella marmellata, cioé sulle grazie della sua migliore amica. Lo aveva infatti beccato, in un parco pubblico, nella periferia di questa città, mentre, fedifrago stronzo, pomiciava con quella poco di buono. La povera moglie perse le staffe, s’incazzò come una belva, schiaffeggiò la sfasciafamiglie, mentre al fellone disse “tu con me hai chiuso per i prossimi trecento anni”. Carlo, voglioso di fare il gentleman, non cavalcò l’onda, evitò di massacrare la reputazione del fellone e, per rafforzare la sua immagine di intellettuale -capace, con signorilità, di non approfittarne-, tentò di volare alto nel suo eloquio, invece di iniziare a corteggiarla.
L’irrequieto uomo, che sta guadagnando la via d’uscita della stazione, mentova quell’accorata confessione dell’avvenente bottegaia con un filo di rimpianto. Forse la dama gli parlò in quel modo, sbottonandosi e confidandogli vicende privatissime e imbarazzanti, perché voleva essere consolata. Magari si era innamorata di lui, e sognava, dopo la definitiva crisi del suo matrimonio, di ricominciare a gustare le gioie dell’eros fra le sue braccia. Carlo si sta pentendo di essersi limitato, in quella circostanza, ad ascoltarla attentamente, senza regalarle qualche discreta, indiretta coccola. Avrebbe dovuto farle sperticati complimenti, inviarle sviolinate a trecentosessantuno gradi, per esempio “ma come ha potuto tuo marito non dedicarsi al mille per cento a una donna incantevole come te!?”. Da cosa poteva nascere cosa e… In questo momento, aduggiato dalla timidezza che in quella situazione gl’impedì di provarci, avverte l’inquieta esigenza di sgridarsi, nel segreto ambito dei suoi invisibili pensieri. “Caro Carlo, allora sei stato davvero un coglione. E a tutt’oggi sei abbastanza imbranato nei rapporti con il gentil sesso. Ma che aspetti a mettere giudizio? Devi avere sempre presente, e ripetere come un mantra, che ogni lasciata è persa”.
Purtroppo, guaio nel guaio, per recitare il ruolo del mezzo santo che non tenta d’abbordare una sirena tentatrice, non le ha mai chiesto preziosi ganci come indirizzo di casa o email o numero di telefono. E mo? Ora che sull’edicola è calato il sipario, poterla ritrovare nell’universo potrebbe essere difficile come vedere un ago nel pagliaio.
Il suo stato d’animo, a causa di questo molesto mea culpa, rischia di diventare un umore permeato di puzzolente autocritica. La parte più saggia del suo cervello intuisce che è meglio darci un taglio con questa palinodia a scoppio ritardato. Ormai quel che è fatto è fatto, inutile piangere sull’audacia versata -scivolando su una buccia d’imbranataggine-, meglio non pensarci proprio. Una parola! Tra il dire, o il pensare, e il fare ci può essere di mezzo, soprattutto se in gioco vi sia l’amare, l’amaro.
Cerca di reagire a una depressa forma di pessimismo. Ago nel pagliaio? E allora? Difficile trovarlo, ma non impossibile, soprattutto se intervenga il Caso e, come un mago con la bacchetta super, lo aiuti con un miracolo laico. “Coraggio, Carlo, campa cavallo che l’erba cresce”. Lodevole il suo tentativo di farsi forza e dire a sé qualcosa di simile a “Sursum corda!”, ma allo stato nel suo S.O.S. -a proverbi e dintorni- è destinato a rincoglionire più che a lenire la sua frustrata voglia di lei.
Sta comunque capendo un imperativo categorico: all’inizio della sua prossima cotta dovrà evitare di parlare in quinci e squinci, andando subito al dunque. Mentre si prefigge questa concretezza pensa a cosa avrebbe potuto dire alla bella Teresa e nella sua memoria si accende un flashback musicale, la canzone “Donna Rouge”, by Fake, per l’esattezza “Ho tanta voglia di fare l’amore con te”. Il suo rimpianto sta diventando troppo osé, e fortunatamente questo eccesso dura un amen. In men che non si dica Carlo intuisce che sarà meglio non passare da un estremo all’altro. L’optimum è la medietas, per esempio la domanda “Tu cosa fai stasera?”, non tradendo del tutto il felicissimo testosterone nell’organismo, e senza alcun parolone sulle labbra…
Walter Galasso